Home page > Ricerche Geografiche > SILA terra dei briganti..

SILA terra dei briganti..

il progetto di ricerca, in collaborazione con Salvatore Renda, ha impegnato il team, Acheloos Geo Exploring in una ricerca dei luoghi che un tempo furono teatro di episodi legati al fenomeno del Brigantaggio. Nonostante il tempo trascorso dopo l’epoca dell’unità d’Italia, i paesaggi restano molto suggestivi e affascinanti ..

indagine storica di Salvatore Renda Crotone ricerche geografiche e foto di Fabio Piccin Acheloos Geo Exploring

1.primi racconti sul fenomeno nato contro Napoleone;

2.la sua affermazione in opposizione all’unità d’Italia forzata;

3.storie e leggende sui luoghi e i personaggi del movimento.

1.primi racconti sul fenomeno nato contro Napoleone;

La vera storia della Calabria iniziò migliaia di anni fa: una regione ricca di storia, di eventi non sempre tramandati così come sono realmente accaduti. La nostra attenzione si sofferma su un determinato periodo storico e precisamente nel momento in cui, questa terra pacifica che subì invasioni di popoli diversi, passò dal XVIII al XIX secolo con la nascita e l’evoluzione di un movimento rivoluzionario denominato Brigantaggio. Cercheremo di cogliere i punti essenziali e i luoghi sede, inoltre sveleremo come quelle figure che possono apparire tetre cupe, quasi mostruose, altro non sono uomini in lotta per un ideale. Le fonti storiche danti notizia di questo territorio, vanno ricercate anche nei diari dei vari conquistatori avvicendatisi nel corso della storia. Si potrebbe partire proprio con la nascita di alcune colonie greche poi battezzate Magna Graecia agli inizi del 700 a.C. . Da precisare che il nome dato dalla madre patria (cioè dalla Grecia) al luogo ospitante le colonie calabresi era Italia, ecco da dove proviene il nome dell’attuale nazione. Seguì il passaggio di consegne all’impero romano e al medioevo, ma nella sostanza la fama vantata nei secoli antecedenti si spense pian piano. Questa posizione marginale si mantenne fino all’avvento dell’ imperatore Napoleone che terminò l’invasione francese dell’Italia con l’incoronazione a re. Le prime osservazioni derivano dai taccuini e lettere di comandanti dell’esercito francese in alcuni casi lodanti le bellezze paesaggistiche e lo splendore, in altri il tono si inasprisce tanto da rendersi fautori di insulti alla popolazione classificata come “primitiva e difficile da conquistare”. D’altronde il punto di vista è suscettibile al modo in cui ci si mette in relazione con il diverso, ecco perché esistono pareri totalmente difformi. A seguito di questa campagna bellica voluta dall’imperatore Bonaparte, si venne a creare un movimento istintivo di ribellione che sfociò in continue piccole battaglie isolate e discontinue che rallentarono l’avanzata gallica. D’altro canto anche gli inglesi ambivano a dominare in Europa e, onde evitare l’espansione francese, decisero di allearsi alle bande di insorti calabresi fornendo in alcuni casi uomini e armi. La lotta contro Gioacchino Murat, messo da Napoleone al posto dei Borboni dopo la nomina del fratello Giuseppe Bonaparte a re di Spagna, ebbe un arresto grazie all’impiego del colonnello francese Charles Antoine Manhès con pieni poteri. Egli non esitò ad impiegare la sua autorità rendendosi promotore di atti crudeli nei confronti degli oppositori come fucilazioni di massa di faziosi o presunti tali, ma anche di possibili sostenitori. In questa ultima definizione vengono conglobati migliaia di innocenti come donne, anziani e bambini trucidati a colpi di baionetta o impiccati. Tutto ciò servì a sospendere le scaramucce militari ma non l’estirparono del tutto, anzi fomentarono la rabbia degli abitanti costretti a subire il volere del popolo invasore.

2.la sua affermazione in opposizione all’unità d’Italia;

Prima di parlare dell’unità d’Italia, va fatta un analisi sulla condizione economico-sociale del Regno delle Due Sicilie. Questo stato, non avente nessuna intenzione di annettersi al resto della penisola, vantava un sistema industriale all’avanguardia e una condizione sociale accettabile anche se il malcontento dei ceti più poveri era sempre presente (specie contro i latifondisti). Lo testimonia la presenza di numerose lettere dell’epoca che parlano di una rete ferroviaria molto estesa ed efficiente; un settore tessile molto competitivo; una posizione geografica molto vantaggiosa utile a favorire gli scambi commerciali e a percepire un notevole introito data la frequenza delle esportazioni. Altro punto a favore fu la presenza delle università al sud come quella di Napoli Palermo e Messina, molto valide e riconosciute. Il primo censimento, dopo l’unificazione d’Italia, constatò la presenza di più del 50% di tutta la popolazione di laureandi dell’intera nazione presso queste tre strutture. Tutto ciò indica una situazione non di degrado e arretratezza riportata tuttora nei libri di scuola. Anche se al nord la “conquista” del sud con Garibaldi a capo (avente l’obbligo di ristabilire il nuovo ordine economico d’Europa), venne pubblicizzata come un evento unitario e con scopi nobili, nella realtà non fu così. Partito con i famosi mille e dopo lo sbarco in Sicilia, venne affiancato da diverse figure quali: i “picciotti” mafiosi (che altro non erano l’esercito dei grandi proprietari terrieri) ed ex detenuti, fu loro garantita l’immunità e la soppressione di precedenti denunce e condanne; soldati stranieri, mandati dai regnanti delle loro nazioni con la missione di infoltire l’esercito garibaldino; simpatizzanti come i grandi latifondisti, che però non partecipavano in prima persona, ma aiutavano la logistica dello sbarco e l’avanzata militare; infine gli agricoltori forti della promessa di ricevere le terre sottratte ai Borboni. Risalito fino a Napoli, l’eroe dei due mondi si presentò con un esercito molto vasto che secondo le cronache dell’epoca, raggiungeva le 50.000 unità circa. Alla luce dei fatti, fu un vero e proprio conflitto perseguito senza aver rispettato gli accordi internazionali allora vigenti che prevedevano la preventiva dichiarazione di guerra. Una volta vista l’imponenza dell’esercito invasore e data la mancanza di tempo per organizzare una risposta di tali proporzioni, il re Francesco II di Borbone fu costretto all’esilio. A seguito dell’insediamento del nuovo governo provvisorio, vennero promulgate le prime leggi che: scioglievano l’esercito vincitore e quello sconfitto, affidavano il controllo delle terre ai grandi proprietari terrieri e istituiva il servizio di leva obbligatorio. Le ricchezze della banca del Regno delle Due Sicilie furono drenate verso la banca tosco-padana e verso l’estero in generale, infatti da cronache a noi pervenute si evince che: « il 27 agosto 1860 risultavano 19.316.295 ducati; al 20 settembre 7.900.115 ducati e 6.000.000 il 2 aprile»; che l’argenteria reale fu venduta o portata a Torino; che dal banco di Napoli, grazie ad un carteggio, si ricavò un prestito di 200.000 lire (circa 1.500.000 di euro) al figlio di Garibaldi, Menotti, e mai restituito; l’esclusiva per la costruzione di ferrovie passò dalle fabbriche napoletane a quelle francesi; ecc.. Fatto sta che tutti i documenti che comprovarono i movimenti economici sono in parte spariti o coperti dal segreto di stato. A seguito dell’impoverimento dello stato e della società in generale si reagì con le prime manifestazioni di dissenso sfociate, e in seguito soffocate, nel sangue. Come conseguenza dei soprusi patiti, si organizzarono bande armate con a capo ex combattenti dell’esercito garibaldino (che capirono la realtà dei fatti) o di quello borbonico, contadini e donne uniti a combattere per circa 10 anni questa vera e propria guerra civile. Un avvenimento cruciale fu l’emanazione della legge Pica nel 1863, che concedeva all’esercito pieni poteri per far cessare il fenomeno. Con questo decreto si colpì duramente il brigantaggio. Gli ordini furono usati dalle milizie a proprio favore per creare terra bruciata attorno ai “partigiani”. Non solo venivano arrestati o uccisi all’istante i rivoltosi, ma altresì i presunti tali oppure chi potesse in qualche modo aiutarli. Chi non veniva ucciso, veniva imprigionato o deportato in dei veri e propri campi di concentramento che nulla avevano da invidiare a quelli tedeschi del secondo conflitto mondiale. Anzi. Si resero colpevoli di crimini di guerra massacrando schiere di persone prive di colpa e furono giustificati grazie alla stessa legge speciale. Ciò significa che interi paesi, per paura che potessero essere usati come riparo, vennero rasi al suolo “preventivamente” per il solo motivo di trovarsi nelle vicinanze di luoghi che avrebbero potuto essere attraversati dai briganti. Si fecero razie e si distrussero case, si uccisero donne, preti, ragazzi e anziani, tutto per sedare la rivolta dei difensori. Il 26 gennaio 1861, nella rubrica “Ultime notizie”, il n° 23 del Giornale l’Armonia riporta1: “Da uno specchio approssimativo che in questi giorni deve essere stato trasmesso al ministro della guerra, consta che il numero degli ufficiali napoletani prigionieri ascende alla rispettabile cifra di 1700! E che quello dei soldati che si trovano nello stesso caso non è forse inferiore di 24.000…”. A questa data vanno aggiunti i deportati a Gaeta, a Civitella del Tronto e Messina non solo in quell’anno ma anche negli anni a venire. Circa 40.000 soldati dell’esercito di Francesco II delle Due Sicilie vennero deportati nei lager del Piemonte e della Lombardia, in zone di montagna, dove morivano per stenti o per il freddo e solo in pochi fecero ritorno a casa. A seguito della scoperta di lettere inviate da Camillo Benso conte di Cavour, che sollecitava la nascita di un parlamento con una rappresentanza molto bassa e facilmente controllabile del sud, si comprende che la questione meridionale nasca come scusa per nascondere dell’altro. Da un discorso del deputato Ferrari2 si intuisce che egli fu l’unico a porre l’accento sulla gravità delle azioni commesse dall’esercito piemontese-padano citando la distruzione di un intero paese avvenuta qualche tempo prima, e giustificando l’azione dei ribelli meridionali che lottavano contro le angherie subite. Si sostiene che le vittime, in dieci anni circa dall’unità in poi, ammontassero a quasi 270.0003 persone (e quasi la totalità non erano briganti) con deportazioni, incarcerazioni, soprusi e violenze escluse. E ciò a seguito l’esser diventati ormai da tempo fratelli d’Italia. Dopo aver riportato la calma con le armi, si procedette all’aumento delle tasse; alla mobilitazione e allo sfruttamento della massa lavorativa che abbandonava il sud, per ovvie ragioni, trasferendosi nel settentrione o all’estero; alla creazione di sole aziende al nord e al proibizionismo che chiuse gli scambi fiorenti fino ad un decennio prima con il resto dell’Europa e Africa. Il meridione era completamente svuotato e inerte.

3.storie e leggende sui luoghi e i personaggi del movimento.

Sono diverse le storie che attraversano questa terra, narrando gesta e nomi che hanno caratterizzato un’epoca e contraddistinto una regione. Come prima accennato, i briganti altro non erano che povera gente ribellatasi al potere dello straniero, così che le loro gesta si riempiono di un significato umano e politico ancora oggi trovanti consenso.

Il brigante Musolino: detto “u rre dill’Aspurmunti”

La sua storia era simile a quella di qualsiasi altro uomo a lui contemporaneo, sennonché avvenne un fatto che gli cambiò la vita. Un semplice taglialegna di un paesino della provincia di Reggio Calabria che, a seguito di una rissa in una locanda, venne implicato in un omicidio. Si saprà solo dopo la sua morte che le dichiarazioni usate contro di lui erano false e montate appositamente per incastrarlo. Datosi alla macchia per sei mesi, fu catturato e condannato a 21 anni di carcere. Si professo sempre innocente ma invano. Durante il soggiorno presso il penitenziario, maturò la sua rabbia verso coloro che lo imputarono giurando giustizia. E così fu. Dopo due anni riuscì ad evadere compiendo la sua vendetta e dandosi alla latitanza. Nel corso degli anni si arricchì, diventò potente e rispettato della popolazione che lo accoglieva e proteggeva. Egli era infatti il testimone dell’ingiustizia e della mancanza di ascolto da parte delle autorità. Nel 1901 venne catturato nei pressi di Urbino, dove s’era recato per chiedere la grazia al re, da due ignari gendarmi che cercavano un’altra persona. Visti i carabinieri, e pensando stessero cercando lui, si dette alla fuga per poi finire su un filo spinato che lo fermò fino al suo arresto. Nonostante le vessazioni subite, non alimentò mai sentimenti di rivalsa contro le guardie in generale. Venne condannato all’ergastolo che scontò fino al 1946, poi venne dichiarato pazzo e fu trasferito a Reggio Calabria dove vi restò fino alla morte avvenuta nel 1956. Pubblicò poesie, rilasciò interviste, e catturò l’attenzione di grandi letterati come Giovanni Pascoli, Totò che lo accennò nella poesia “a Mondana”; Norman Duoglas che gli dedicò un intero capitolo nel libro “Old Calabria”; ecc..

Domenico Straface: detto “Palma”

Nato a Longobucco, un paese nella provincia cosentina molto vicina alla Sila, finì per dedicarsi al brigantaggio a seguito di un fatto che lo vide protagonista: aver schiaffeggiato un signorotto di Rossano. Dato il suo temperamento e il coraggio che ostentava si mise alla guida di una banda del luogo che si aggirava per le montagne. Ma nel 1869 fu ucciso, forse a tradimento da un suo compagno, dalle parti di Spezzano Grande. La leggenda creatasi dopo la sua morte vuole che in una località nei pressi del paese, ci sia nascosto un tesoro che conta una gallina e una quindicina di pulcini tutti d’oro che attendono di essere scoperti.

La timpa del salto (il baratro del salto)

Belvedere di Spinello, un paesino nella provincia di Crotone, sorge su una collina a circa 400 m sul livello del mare, già famosa per essere citata in epoche antiche come possibile nascondiglio di un grande tesoro ancora da trovare. La collina che ospita il paese finisce con uno strapiombo che si affaccia sulla strada statale. La prima cosa da accennare e che osservando bene dal livello della strada, sulla facciata della roccia vi è scolpita una faccia che molti riconducono al Cristo. In secondo luogo questa collina è famosa per una leggenda. Nel XIX secolo, un famoso brigante dopo essere stato scovato e rincorso dalle milizie per tutto il paese, si trovo a finire la sua corsa una volta arrivato alla fine della collina e quindi sul precipizio. Vedendo avvicinarsi gli inseguitori prese una decisione drastica e cioè gettarsi dal dirupo promettendo che, se si fosse salvato, avrebbe regalato le campane alla chiesa della Madonna di Altilia (un paesino di fronte). La leggenda vuole che si sottrasse alla morte con un miracolo nonostante il balzo proibitivo e che mantenne la sua promessa; ecco perché si pensa che il suono delle campane del paese echeggiante per la valle altro non sia che il frutto di quel regalo.

Il tesoro del brigante amante

Nel rione "Stella", di Catanzaro (Largo Ferragina), esistono dei cunicoli sotterranei usati dai briganti come passaggi segreti. Agli inizi del ‘900 questi varchi sotterranei venivano usati come abitazione dalle famiglie povere. Una vedova che vi abitava un giorno vide un uomo vestito da bandito e ammantato di nero come era in uso nel periodo del brigantaggio. Incuriosita iniziò a parlare con lui che confermò il suo passato da rivoltoso, il fatto di essere morto lì e di averci nascosto un tesoro. La donna vi rimaneva in compagnia perché incantata dalla promessa di ricevere in dono la ricchezza se avesse mantenuto il segreto, ma ogni discorso finiva puntualmente attorno alla mezzanotte. I figli della donna videro questa figura maschile in compagnia della loro madre, ma non gli rivolsero mai la parola. Un giorno il più grande dei ragazzi chiese spiegazioni alla mamma, minacciando di uccidere l’amante perché questa storia d’amore cominciava ad essere oltraggiosa. Così il genitore cedette. Quella sera stessa ricomparve il fantasma del brigante che, adirato a causa della confessione materna, decise di guidare il figlio e la genitrice attraverso le gallerie oscure, fino al luogo del tesoro. Giunti sul posto, il ragazzo cominciò a scavare nel posto preciso indicatogli dall’entità e una volta trovato un forziere lo aprì trovandoci effettivamente monete d’oro. Nello stesso momento una risata dal buio si diffuse e la voce del fantasma disse:«Quello che avete visto è ciò che non avrete mai! Come, del resto, io sono morto dannato per non averlo potuto portare con me!». Subito dopo sparì spegnendo le torce dei due familiari rimasti scossi e al buio. Tornati l’indomani alla luce del sole trovarono la buca ma non lo scrigno. Da quel giorno in poi le grida e i lamenti del fantasma-amante impaurirono la popolazione della zona che iniziò a trasferirsi altrove lasciando quel territorio abbandonato.

Note

1 Fulvio Izzo, “I lager dei Savoia. Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali” – edito da Controcorrente. 2 Patrick K. O’clery, “La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione”. 3 Grasso Alfonso - Romano Alessandro - Salvadore Marina et alii, “La storia proibita. Quando i piemontesi invasero il Sud” - edito da Controcorrente.

Portfolio