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L’ Architettura della vita e della morte nella Sardegna dell’ eta’ del bronzo

Una ricerca storico antopologica con riferimanti nel passato della Sardegna, per comprendere maggiori dettagli sulle achitetture delle tombe megalitiche e sull’approccio al viaggio dei defunti nel mondo dell’aldila’ nell’eta’ del bronzo.

Testo e foto a cura di Marina Mittica

La Sardegna e’ considerata un museo naturale nell’etnografia sud europea per gli esiti ancora oggi mantenuti dalle civiltà del passato. Una particolarità conferita dal suo essere isola, la più distante dall’ Europa tra tutte le isole del Mediterraneo, che le ha assegnato originalità, ma l’ha alienata dall’ orbita delle grandi civiltà che determinarono il destino del Mare Nostrum. E’ l’ambiente naturale a influenzare le attività umane, e nel territorio sardo, il cui 60% e’ impermeabile, perennemente battuto da venti selvaggi, costituito per la metà da pascoli bradi, dove la maggior parte della vegetazione e’ spontanea, il 75% del litorale e’ roccioso e il restante sono spiagge circondate da dune con pochissimi approdi naturali che dissuasero l’antico navigante dall’incontro con le genti imprigionate al di là dei rilievi montuosi. Non vi fu certo il potenziamento antropico apportato dalla “colonizzazione” greca in Magna Grecia e Sicilia, che ebbe qui un carattere di sfruttamento. Le naturali barriere costituite dai monti favorirono lo sviluppo di facies chiuse, definite dall’Archeologo Giovanni Lilliu “isole nell’isola”, senza cooperazione organica, soprattutto di fronte agli invasori di ogni tempo. Questo isolamento spiega la scarsità di presenza umana in epoca preistorica e protostorica (ancora oggi e’ la terza regione a più scarsa densità abitativa). I settori più cospicuamente insediati sono quello meridionale e quello occidentale, poiché ricchi di risorse (stagni, lagune, terreni pianeggianti). Durante la preistoria infatti, le zone predilette sono ripiani alluvionali litoranei o contigui alle vallate dei più importanti corsi d’acqua o le grotte carsiche. Delle popolazioni che vissero durante questa fase si possono ancora ammirare più di 2.400 tombe ipogee, conosciute con il nome sardo di Domus de Janas (letteralmente “casa di fate”) scavate nel granito. Successivamente gli insediamenti si spostano dal mare in zone elevate, soleggiate, ventilate e ricche di rocce lavorabili. E’ il passaggio dall’ Eneolitico all’Età del Bronzo (1800 c.ca a. C.), nasce una civiltà pastorale, d’altopiano.

La civiltà nuragica

E’ il nuraghe a dare nome alla civiltà degli antichi sardi, una torre megalitica (costruita con enormi blocchi di pietra sovrapposti) alta anche fino a venti metri, la cui funzione, probabilmente di controllo del territorio, destinato al capo tribù e alla sua famiglia, e’ ancora oggetto di studio, ma che certamente costituì il centro della vita sociale del popolo sardo. Per lo più edificati sulla sommità di un’altura, i nuraghi possono raggiungere un diametro di base anche di cinquanta metri, che diminuisce con l’elevarsi, formando un cono di blocchi sovrapposti a secco in maniera circolare, sempre più piccoli e tenuti insieme dal loro stesso peso. Il soffitto risultava dunque una falsa cupola (o a tholos). Sono molto diffusi sul territorio sardo (in media un nuraghe ogni tre chilometri quadrati) e dal protonuraghe (una sorta di corridoio, privo di tetto) si giunge a forme complesse, intorno alle quali si sviluppano più torri, collegate attraverso cortine murarie e aggregazioni sempre più consistenti di villaggi.

Il nuraghe de La Prisgiona ad Arzachena, nella nuova provincia di Olbia-Tempio, e’ una testimonianza dell’influenza della cultura di Bonnannaro su quella gallurese. Questo nuraghe infatti doveva accentrare il potere di genti molto forti economicamente, capaci dunque di compensare manodopera specializzata nella costruzione a tholos e aperti alle novità architettoniche tecnicamente più valide. In questo caso la torre centrale (mastio), di cui restano poco più di sei metri d’altezza, possedeva un secondo piano al quale si accedeva tramite una scala interna a svolgimento elicoidale. I crolli di mensoloni in granito, attestano la presenza di un terrazzo nella parte superiore. Il mastio e’ circondato da altre tre torri, racchiuse in un bastione che ha la forma di un triangolo dagli angoli ben smussati. All’ esterno del bastione si apre un ampio cortile al cui interno vi e’ un pozzo scavato per circa otto metri di profondità, fino a intercettare una falda acquifera, utilizzato a scopo di approvvigionamento idrico e successivamente connesso alle attività rituali dell’ attigua “capanna delle riunioni”.

Quest’ultimo e’ un tipo di edificio presente nei villaggi di maggior rilievo, destinato alle adunanze e sede di rituali che richiedevano elementi come l’acqua e il fuoco Tutt’intorno al muro interno vi e’ un sedile e al centro della capanna e’ una piccola struttura circolare attorno alla quale vi sono tracce di combustione, ma non un vero e proprio focolare. All’interno della capanna e’ stata rinvenuta un’olla, non ancora edita, con forme e decorazioni che lasciano ipotizzare alla preparazione e consumazione di qualche alimento, forse terapeutico, magico o rituale.

Adiacente al nuraghe si estende per quattro ettari il villaggio composto da almeno un centinaio di capanne, l’ una tangente all’altra. Nella parte più prossima al nuraghe, esse sono organizzate in agglomerati di ambienti che si aprono su uno spazio comune. Mostrano diverse fasi costruttive e culturali determinanti l’alternarsi di ampliamenti e contrazioni del villaggio per tutto il Nuragico II e, in alcune capanne e nel mastio, dopo un lungo abbandono, anche in età romana imperiale. I materiali rinvenuti al suo interno mostrano lo svolgimento di attività artigianali che superavano la sfera del familiare: stivaggio delle derrate alimentari in grandi contenitori ceramici, lavorazione in macine di granito e conservazione dei cereali, cottura del pane in forni di pietra coibentati, lavorazione delle pelli, lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti, riparazione di vasi.

A circa un chilometro dal nuraghe La Prisgiona e’ situata la Tomba di Giganti di Coddu ‘Ecchiu. Questo tipo di tombe, chiamate anche “di paladini”, devono questi nomi all’immaginario scaturito nella tradizione locale dalle notevoli dimensioni presentate dalle rocce lavorate. In verità all’interno non vi era custodito un enorme defunto, ma si tratta di tombe collettive. In Sardegna se ne conoscono più di trecento. Esse nascono come allées couvertes (letteralmente “corridoio coperto” e sinonimo di tomba a galleria) senza una distinzione tra il corridoio d’entrata e la camera funeraria vera e propria. Nel caso della Tomba di Giganti di Coddu ‘Ecchiu, infatti lo scavo ha portato in luce due differenti momenti costruttivi. Alla prima età del Bronzo risale la prima fase in cui e’ composta la “galleria coperta”,una struttura rettangolare dagli angoli smussati, fatta in muro composto da lastre irregolari, lunga una decina di metri e larga poco più di quattro, coperta da un solaio. A questo periodo si datano un recipiente con ansa cornuta e una piccola olla in forma ovoidale.

Nel Bronzo medio il muro a secco della facciata fu rivestito dai lastroni costituenti l’esedra (la facciata della tomba di gigante delimitante l’area sacra) e dalla stele centrale in due pezzi, alta poco più di quattro metri, ornata da fasce in rilievo e da un portello di simbolica comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei defunti . Questi ultimi erano inumati (deposti nel terreno) dall’alto rimuovendo una lastra di copertura. Da una parte dell’esedra i vivi praticavano rituali in onore dei defunti, come quello dell’ ”incubazione”, secondo cui gli infermi giacevano sulle banchine dell’esedra, in sonno terapico alternato a libagioni per propiziarsi o rendere grazie ai defunti. Dall’altra parte, oltre la vita terrena, i defunti transitano verso l’aldilà. Dall’alto lo schema generale ricalca un simbolo fondamentale: la testa del toro (il muso costituito dal fondo e le corna disegnate dall’ampia esedra) che insieme alla Gran Madre e’ la divinità che proteggeva i morti.

BIBLIOGRAFIA

- E. Castaldi, Nuove osservazioni sulle “tombe di giganti”, in «Bull. Paletn. It.», 77, 1968
- E. Contu, Considerazioni su un saggio di scavo al nuraghe «La Prisciona» di Arzachena, in «Studi Sardi», XX, 1968
- G. Lilliu, La civiltà dei sardi, 2003
- F. Lo Schiavo, «Ichnussa», 1981

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